Cosa significa teranga

 

"Nei racconti mitici di navigatori ed eroi dell'antica Grecia, così come in altre innumerevoli leggende e miti delle più diverse tradizioni, mi ha sempre colpito e commosso l'immagine sacra dell'ospitalità.
L'idea cioè che, di fronte a uno straniero che arriva da lontano, ogni cosa si debba fermare, perché si possano accogliere le sue parole e i suoi racconti, perché si possa banchettare con lui e fare festa.
Ospite è una strana parola, del resto, profonda e intrigante.
Ospite è infatti colui che giunge straniero in un luogo e ospite anche colui che lo accoglie, offrendo la sua casa, il suo cibo.
Non c'è distinzione nel linguaggio tra chi attivo e passivo, perché l'ospitare è un atto reciproco, di scambio tra pari.
E' un atto di condivisione, seppur provvisoria, di un luogo comune.
Per ascoltare un ospite che giunge da un'altra terra noi dobbiamo immaginare altri spazi, altre vite, altri sapori.
E credo che questo accada veramente solo quando il nostro orizzonte interno riesce ad estendersi e ad ampliarsi.
Quando nuove immagini e associazioni riescono a intrecciarsi alla rete di relazioni che organizza il nostro guardare il mondo.
Quando scaviamo più a fondo con le nostre radici" (F.L.)
Nella lingua dei Wolof del Senegal per definire ciò che si offre all'ospite e che lui si sentirà impegnato a scambiare e a ricambiare, con gesto di reciprocità, si usa il termine "Teranga".
Il primo di questi gesti è l'offrire un luogo ove riposare, il secondo è offrire da bere per ristorarsi e solo per terzo avviene lo scambio della parola

In questo rituale di ospitalità, misura accordata al divino e dal divino, i due ospiti prima di qualunque altro esercizio di linguaggio, nella loro totale alterità e nella loro totale somiglianza, ravvisano e riconoscono il carattere intrinsecamente sacro dell'umanità.
Da questo incontro, da questo riconoscimento dell'alterità nell'universalità, deriva la conoscenza che, precedendo la parola dell'altro, autorizza la venuta del messaggio